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Il dibattimento

L’art. 111 della Costituzione, fissa alcuni principi tipici del modello processuale accusatorio, tra cui la formazione della prova nel contraddittorio delle parti e la parità in ogni stato e grado del procedimento riconosciuta ad accusa e difesa. L’esame incrociato dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici rappresenta un aspetto importante del dibattimento.

Indice:

  1. Il dibattimento del sistema accusatorio
  2. La prova testimoniale
  3. La cross examination e l’esame dei consulenti

1. Il dibattimento del sistema accusatorio

L’attuazione dei caratteri del sistema accusatorio, cui fa riferimento l’art. 2 comma 1 della legge delega del 1987 per l’emanazione dell’attuale codice di rito, è fondamentale nel momento principale dell’intero procedimento penale, ovverosia a dibattimento. La Costituzione, in particolare con l’art. 111, fissa alcuni principi tipici del modello processuale accusatorio, tra cui la formazione della prova nel contraddittorio delle parti e la parità in ogni stato e grado del procedimento riconosciuta ad accusa e difesa, oltre all’oralità quale modalità principale di escussione della prova.  

Tuttavia, la conseguenza dell’attuazione di un sistema a carattere rigorosamente accusatorio avrebbe portato all’inutilizzabilità di tutti gli elementi raccolti al di fuori del dibattimento, in virtù del mancato rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova, oltre a quello di oralità – immediatezza, inteso come contatto diretto del giudice con la prova. 

Ad oggi, la disciplina vigente trova il suo parametro di riferimento nell’art. 111 Cost., il quale, ribadendo che la prova nel processo penale deve essere formata nel contraddittorio tra le parti, ne indica tassativamente le possibili eccezioni: consenso dell’imputato, impossibilità oggettiva di realizzare il contraddittorio, provata condotta illecita diretta ad impedire o ad alterare la prova. 

Tale norma costituzionale ha dato attuazione al c.d. principio di non dispersione dei mezzi di prova, in virtù del quale nessuna dichiarazione a contenuto probatorio di testimoni o imputati deve sfuggire alla valutazione del giudice incaricato di pronunciare la sentenza, indipendentemente dal momento in cui siano state raccolte. 

Oltre ai principi del giusto processo contenuti nell’art. 111 Cost., la parità delle parti viene attuata – anche in seguito alla l.n. 397/2000 sulle indagini difensive – grazie al riconoscimento di poteri investigativi in capo al p.m. e al difensore, i quali si concretizzano nei criteri di formazione del fascicolo per il dibattimento e di quello del p.m., all’interno del quale confluisce anche quello del difensore dopo la chiusura delle indagini preliminari.

2. La prova testimoniale

Sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, le parti devono presentare le liste di testimoni, periti e consulenti tecnici che intendono ascoltare, con l’indicazione delle circostanze sulle quali verterà l’esame. La presentazione delle liste entro i termini stabiliti è prevista a pena di inammissibilità, dal momento che non sono consentiti esami a sorpresa, in quanto ciascuna parte deve conoscere i soggetti e i fatti che l’altra intende provare

Il decreto del presidente del tribunale o della corte d’assise autorizza la citazione delle persone indicate sulle liste, le quali sono così obbligate a comparire: la citazione può essere negata solo per le testimonianze vietate dalla legge e per quelle manifestamente sovrabbondanti. 

Con riferimento all’obbligatorio inserimento nelle liste testimoniali, l’art. 468 c.p.p. prende in considerazione anche periti e consulenti tecnici, non menzionando però l’esame delle stesse parti in causa, dal momento che tale eventualità non potrebbe comunque considerarsi una sorpresa. 

Gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, per essere utilizzabili dal giudice ai fini della decisione, necessitano di essere acquisiti mediante lettura: in particolare, tale operazione rispetto ad atti contenenti dichiarazioni non può mai precedere l’esame della persona che le ha rese, ex artt. 511 e 511-bis del codice. Tali norme configurano l’attuazione del principio di oralità – immediatezza per l’escussione dibattimentale: tuttavia, qualora il teste non ricordasse o si rifiutasse di rispondere alle domande, la lettura avrà comunque luogo, lasciando al giudice il libero apprezzamento circa l’andamento dell’esame orale e le risposte eventualmente difformi o contraddittorie rispetto a quelle verbalizzate in fase preliminare.

Il fascicolo del pubblico ministero contiene invece le risultanze  delle indagini preliminari non inserite in quello del dibattimento, in seguito al contraddittorio disposto dal giudice nel corso dell’udienza preliminare, comprese quelle relative alle attività investigative difensive. 

Di conseguenza, gli atti contenuti nel fascicolo del p.m. non possono essere acquisiti come prova a dibattimento, bensì sono utilizzabili per le contestazioni ai testimoni durante l’esame orale, al fine di far emergere una contraddizione o chiedere spiegazioni, eventualmente anche dando lettura dell’atto

La contestazione si intende in senso stretto, in quanto non può realizzarsi una critica generale a dichiarazioni rese da persone diverse o ad altri atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, bensì unicamente rispetto alle dichiarazioni precedentemente rese dalla persona esaminata. 

È importante sottolineare che la lettura degli atti a scopo di contestazione non corrisponde ad un’acquisizione della prova, al contrario di quanto avviene invece per la lettura degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento. Per questo motivo, il giudice non potrà porre a fondamento della propria decisione atti di cui è venuto a conoscenza tramite contestazione, utilizzabili unicamente per la valutazione della singola dichiarazione dibattimentale contestata.

L’art. 500 c.p.p. elenca le ipotesi eccezionali in cui le dichiarazioni contenute nel fascicolo del p.m. possono essere acquisite a quello del dibattimento, in caso di violenza, minaccia e altre interferenze illecite sulla libertà morale del testimone. Inoltre, a prescindere dalla contestazione, le precedenti dichiarazioni del testimone contenute nel fascicolo del p.m. possono entrare a far parte di quello per il dibattimento in seguito all’accordo tra le parti, ex art. 500 comma 7 del codice di rito.

3. La cross examination e l’esame dei consulenti

L’esame incrociato dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici ed eventualmente delle parti in causa rappresenta l’aspetto maggiormente caratteristico del dibattimento tipico del sistema accusatorio. 

Secondo quanto stabilito dall’art. 498 c.p.p., l’esame viene condotto inizialmente dalla parte che ha chiesto di sentire il testimone, la quale può dunque porre le sue domande per prima; in seguito, la controparte procederà con il controesame del testimone, al termine del quale la parte che ha iniziato l’esame potrà formulare altre domande. L’art. 499 del codice di rito prevede che tali domande vertano necessariamente su fatti specifici, i quali costituiscono l’oggetto di prova: spetta al presidente il compito di assicurare la pertinenza delle domande rivolte dalle parti ai soggetti esaminati, avendo egli la facoltà di escluderle intervenendo direttamente a dibattimento. 

Con riferimento all’esame dei consulenti tecnici di parte, nonostante emerga un contrasto giurisprudenziale sul tema, non sembra gravare su di loro l’obbligo di dire la verità ex art 497 comma 2 del codice. Infatti, l’osservanza di tale obbligo potrebbe pregiudicare gli interessi della parte, potenzialmente in conflitto con quanto eventualmente esposto dall’esperto. A conferma dell’assenza dell’obbligo di dire la verità per il consulente tecnico di parte, depone la mancata previsione di dare lettura della dichiarazione prevista dall’articolo 226 c.p.p. per il perito: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell’incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali”. Tuttavia, la questione assume scarsa rilevanza, dal momento che spesso  l’apporto conoscitivo del consulente tecnico non si limita all’esposizione di valutazioni, bensì consiste nell’enunciazione di dati oggettivi, per cui egli dovrà necessariamente ispirarsi ai principi di lealtà e sincerità posti a fondamento della formazione della prova nel processo penale.

Rispetto alla natura giuridica del consulente tecnico di parte, essa non può considerarsi integralmente assimilabile a quella di testimone, dal momento che prevale per lui la qualifica di ausiliario di parte, anche in momenti differenti rispetto a quelli legati alla deposizione. In particolare, ciò emerge dall’impossibilità per i testimoni esaminati di comunicare anche con i consulenti tecnici nel corso dell’udienza, oltre che dalla facoltà riconosciuta alle parti di nominare, fuori dai casi di perizia, fino a due consulenti, i quali potranno proporre autonomamente pareri e memorie. 

Al termine dell’esame di testimoni, periti e consulenti tecnici, potranno essere ascoltate le parti che ne abbiano fatto richiesta o che vi abbiano acconsentito, tra i quali può figurare anche l’imputato che abbia liberamente scelto di sottoporsi all’esame e al successivo controesame

Qualora l’esame dell’imputato venga richiesto dalla controparte, egli potrà rifiutarsi, rendendo così leggibili - e dunque utilizzabili – i verbali delle dichiarazioni rese durante la fase preliminare. Tuttavia, anche se l’imputato accetta l’esame, tali atti potranno essere utilizzati per le contestazioni e allegati al fascicolo del dibattimento, ferma restando in capo al soggetto la facoltà di non rispondere a singole domande.

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