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Indagini difensive e privacy

In generale, la giurisprudenza ha affermato il principio per cui il diritto alla riservatezza dei dati personali risulta derogabile rispetto all’esercizio del diritto ad agire e difendersi in giudizio. 

Indice:

  1. Indagini difensive e protezione dei dati personali
  2. La privacy nella attività di investigazioni difensive
    2.1 L’investigatore privato e il pedinamento elettronico
    2.2  L’interferenza illecita nella vita privata

Indagini difensive e protezione dei dati personali

La materia delle investigazioni difensive è disciplinata, oltre che dalla legge n. 397/2000, anche da altre fonti normative di diverso rango. Infatti, già il Codice della privacy - D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196/2003 – aveva previsto diverse deroghe alle disposizioni generali disciplinanti il trattamento dei dati personali raccolti nell’ambito di investigazioni difensive penali, quali una deroga all’obbligo di informativa e al consenso scritto dell’interessato, non necessario per il trattamento dei dati effettuato ai fini dello svolgimento di indagini difensive e/o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. 

Nel 2008 il Garante della privacy ha elaborato un Codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuato per svolgere investigazioni difensive, in cui sono contenute indicazioni riguardanti la concreta applicazione della normativa in materia. Con l’emanazione del D.lgs. n. 101/2018, il Codice di deontologia e di buona condotta è stato dichiarato conforme al Regolamento Europeo sulla protezione dei dati n. 679/2016 (GDPR).

In generale, la giurisprudenza ha affermato il principio per cui il diritto alla riservatezza dei dati personali risulta derogabile rispetto all’esercizio del diritto ad agire e difendersi in giudizio

Alla luce di quanto previsto dall’art. 9 del GDPR “è vietato trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”. 

Tuttavia, tale disposizione non si applica quando il trattamento risulta necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria, ovvero nell’esecuzione di investigazioni, ricerche o durante la raccolta di informazioni per conto di terzi ai sensi dell’art. 134 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza. 

Inoltre, l’art. 2-undecies D.lgs. n. 101/2018 limita espressamente l’esercizio dei diritti di cui agli artt. da 15 a 22 del GDPR “qualora dall’esercizio di tali diritti possa derivare un pregiudizio effettivo e concreto: […] e) allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria”.

La privacy nella attività di investigazioni difensive

Senza un apposito incarico conferito per iscritto, il quale deve menzionare in maniera specifica il diritto che si intende esercitare in sede giudiziaria, ovvero il procedimento penale al quale l'investigazione è collegata, nonché i principali elementi di fatto che giustificano l'indagine e il termine ragionevole entro cui questa deve essere conclusa, l’investigatore privato non può intraprendere di propria iniziativa indagini, ricerche o altre forme di raccolta dei dati. 

Nel rispetto dell'art. 5 GDPR, i dati personali trattati dall'investigatore privato possono essere conservati per un periodo non superiore a quello strettamente necessario per eseguire l'incarico ricevuto. Terminata l’attività investigativa, il trattamento deve cessare in ogni sua forma, ad eccezione  dell'immediata comunicazione al difensore o al soggetto che ha conferito l'incarico, i quali possono consentire l'eventuale conservazione temporanea del materiale ai fini dell'eventuale dimostrazione di liceità, trasparenza e correttezza di quanto svolto. 

L’investigatore privato e il pedinamento elettronico

Le tecniche e le modalità attraverso le quali vengono ricercati gli elementi di prova si sono evolute con l’avvento delle nuove tecnologie, con importanti ricadute anche nell’ambito delle indagini difensive. L’attività investigativa finalizzata a tracciare gli spostamenti di una persona fisica e/o di un bene mobile, con l’impiego di strumenti tecnologici che ne registrano gli spostamenti, viene definita pedinamento elettronico. Data la mancanza di disposizioni normative che disciplinano in maniera specifica tale attività, si è reso necessario basarsi su dottrina e giurisprudenza per individuarne la natura giuridica e, di conseguenza, la normativa ad essa applicabile.

A prescindere dalla tecnologia adoperata, la finalità del pedinamento elettronico consiste nel monitorare gli spostamenti di una persona, registrandone in tempo reale la varie tappe: tale caratteristica rende il pedinamento non equiparabile all’attività di verifica ex post rispetto all’effettivo movimento del soggetto monitorato, riconducibile al sequestro documentale ex art.256 del codice di procedura penale. 

L’uso di strumenti tecnologici per lo svolgimento di tale attività ha sollevato il problema relativo all’equiparabilità del pedinamento elettronico con le intercettazioni, con tutto ciò che ne consegue a livello normativo: in tal caso, infatti, l’attività in esame non potrebbe essere lecitamente svolta da investigatori privati, dal momento che si andrebbe a ledere il diritto alla riservatezza della persona, limitabile esclusivamente nei casi e nei modi previsti dalla legge e sulla base di un provvedimento dell’ Autorità Giudiziaria. 

I sostenitori dell’equiparabilità tra le due attività affermano come il pedinamento elettronico comporti una lesione della privacy dell’ individuo monitorato, equiparabile a quella che avviene in caso di intercettazione: dunque, qualora l’attività di monitoraggio fosse effettuata da un investigatore privato, seppur in possesso dell’autorizzazione ex art.134 T.U.L.P.S., si realizzerebbe una lesione della privacy della persona pedinata.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che il pedinamento elettronico non è equiparabile alle intercettazioni, dal momento che tale attività investigativa non è finalizzata alla captazione occulta di messaggi o comunicazioni, bensì alla verifica della presenza di una persona in un determinato luogo in uno specifico momento. 

Di conseguenza, il tracciamento elettronico risulta equiparabile al pedinamento fisico e rientra quindi nelle attività esperibili sia dalla polizia giudiziaria - anche senza la preventiva autorizzazione del p.m. - sia dall’investigatore privato autorizzato. Il pedinamento elettronico può dunque essere effettuato dall’investigatore privato autorizzato durante lo svolgimento di indagini difensive, al pari di quello tradizionale, fermo restando per il professionista il dovere di adempiere agli obblighi volti a tutelare la riservatezza delle persone coinvolte negli accertamenti, quali la compilazione del registro degli affari e del conferimento d’incarico secondo i criteri stabiliti dalla normativa in materia.

L’interferenza illecita nella vita privata

L'art. 615-bis c.p. sanziona “chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614...

Tuttavia se l'azione, pur svolgendosi nei luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata da terzi, senza ricorrere a particolari strumenti o accorgimenti, il titolare del domicilio non può esigere una pretesa alla riservatezza. (Cassazione penale, sentenza n. 40577 del 30 ottobre 2008). 

La ratio consiste nel fatto che se è vero che la ripresa video-fotografica da parte di terzi lede la riservatezza della vita privata del soggetto interessato ed integra il reato di cui all'art. 615- bis c.p., non è altrettanto vero in relazione a comportamenti sottratti alla normale osservazione dall'esterno, essendo la tutela limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora, in condizioni tali da renderlo non visibile ad estranei.

Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, quando l'azione si svolge in luoghi di privata dimora ma può essere liberamente osservata dall’esterno, senza utilizzare strumenti tecnologici o ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa al rispetto del diritto alla riservatezza.

Il concetto di ‘privata dimora’ viene interpretato dalla giurisprudenza di legittimità in modo restrittivo, tale da escludere tutti quegli ambienti in cui il titolare, pur potendo vantare uno ius excludendi alios, non possa farlo anche in relazione al diritto alla riservatezza. Sul tema, le Sezioni Unite, pronunciandosi in materia di intercettazioni, hanno sottolineato come la nozione in esame nel codice penale sottintenda “un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza”. 

Anche sulla base di tale principio, nel 2016 il tribunale di Udine, in funzione di giudice del riesame, ha annullato un sequestro disposto su un rilevatore GPS di proprietà di un investigatore privato per interferenza illecita nella vita privata, ex art. 615-bis del codice penale. Nel caso di specie, il Tribunale ha statuito che non sussisteva la violazione di tale norma da parte dell’investigatore che aveva installato il dispositivo satellitare sull’autovettura di un privato cittadino, in quanto la stessa non è qualificabile come luogo di privata dimora e, inoltre, non erano stati utilizzati strumenti di ripresa audio/video per procurarsi notizie o immagini attinenti la vita privata del soggetto coinvolto nell’accertamento.

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