Il diritto di difendersi investigando, ritrae la manifestazione più individualista del diritto di difesa sin dal 1988, nell’art. 24 della nostra Costituzione. Scopri l’evoluzione normativa di questo diritto e quali sono i principi fondamentali delle investigazioni difensive.
Indice:
In ambito penale, l’esigenza di dotare anche la difesa di una normativa finalizzata a definire gli strumenti e le modalità di svolgimento delle attività investigative venne soddisfatta con l’emanazione della legge 7 dicembre 2000, n. 397, la quale rimediò all’indeterminatezza che caratterizzava le precedenti riforme sul tema.
Inizialmente, la disciplina inerente la ricerca e l’individuazione degli elementi di prova in favore del proprio assistito da parte del difensore e dei suoi ausiliari non individuava le forme da osservare per la documentazione dell’attività investigativa, né determinava la valenza probatoria dei relativi atti: si trattava di un riconoscimento puramente formale del diritto a svolgere indagini con finalità difensive.
La consapevolezza della necessità di una disciplina ad hoc dell’attività difensiva diede vita ad una serie di iniziative legislative dirette all’emanazione di un corpus normativo che riconoscesse alle indagini difensive un’importanza pari a quelle svolte del pubblico ministero.
A tale necessità risponde la l. 7 dicembre 2000, n. 397, la quale riserva uno spazio centrale alle investigazioni difensive nel libro V del codice, introducendo nove articoli racchiusi nel Titolo VI-bis, posizionato subito dopo le norme che regolano le indagini “pubbliche”.
La disciplina delle investigazioni difensive viene presentata dall’art. 327-bis c.p.p., inserito dalla l.n. 397/2000 nel Titolo I relativo alle disposizioni generali in materia di indagini e udienza preliminare, il quale dispone che «fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e finalità stabilite nel Titolo VI-bis.».
Il fondamento dell’investigazione difensiva penale e delle facoltà attribuite al difensore e ai suoi ausiliari sono riconducibili all’inviolabilità del diritto di difesa, stabilita in ogni stato e grado del procedimento ex art. 24 della Costituzione.
Inoltre, la riforma dell’art. 111 della Carta costituzionale ha portato all’espresso riconoscimento – ai commi 2 e 3 – del principio di parità delle parti processuali e del diritto dell’imputato “a disporre del tempo e delle condizioni necessarie a preparare la sua difesa”, ricomprendendo evidentemente la facoltà di ricercare elementi di prova a suo favore.
Tuttavia, la precisazione legata alle finalità stabilite nel Titolo VI-bis a cui fa riferimento l’articolo in esame evidenzia il diverso scopo delle indagini difensive rispetto a quelle degli organi pubblici: la facoltà di difendersi investigando non può essere equiparata alla necessità di svolgere indagini finalizzate alla ricerca oggettiva della verità e non a quella più favorevole ad una parte.
Di conseguenza, che il principio di parità delle parti processuali non si traduca in un’eguaglianza di poteri tra accusa e difesa risulta evidente: privo di poteri coercitivi, il difensore dovrà necessariamente ricorrere al giudice o al p.m. di fronte a fonti di prova renitenti o a pubbliche amministrazioni resistenti. Tuttavia, in ragione dell’univoco orientamento della sua attività investigativa, il difensore – così come i suoi ausiliari – gode di una maggiore libertà nell’individuazione degli elementi di prova e nella documentazione degli stessi.
Il difensore – così come il sostituto, gli investigatori privati autorizzati e i consulenti tecnici – ha la facoltà di conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’indagine.
L’acquisizione di informazioni si realizza mediante il colloquio non documentato, la richiesta di una dichiarazione scritta e l’assunzione documentata: le ultime due modalità sono riservate al difensore e al sostituto, in virtù del loro potenziale valore probatorio.
Un’attività investigativa riservata esclusivamente al difensore è la richiesta di documenti in possesso della pubblica amministrazione, la quale è tenuta a consentirne l’accesso ai fini del corretto esercizio del diritto di difesa.
L’autorevolezza del difensore nello svolgimento di tali attività investigative viene rafforzata dalla previsione per cui, in caso di rifiuto a rendere dichiarazioni o di mancata risposta della P.A., egli ha la possibilità di rivolgersi al p.m., affinché disponga l’audizione del dichiarante o la consegna dei documenti richiesti.
Il difensore, il sostituto, l’investigatore privato autorizzato e il consulente di parte possono effettuare un accesso ai luoghi per prenderne visione o per eseguire rilievi tecnici. Inizialmente riservata esclusivamente all’Autorità giudiziaria, tale attività investigativa risulta fondamentale per rinvenire o determinare elementi rilevanti ai fini difensivi. Una delle maggiori innovazioni apportate dalla l. n.397/2000 è quella di consentire alle parti private di esperire accertamenti di carattere tecnico-scientifico senza richiedere al giudice di disporre una perizia, fuori dai casi di accertamenti irripetibili. Il consulente della parte privata ha la facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui si trovano, intervenire alle ispezioni e alle perquisizioni disposte dal pubblico ministero ed esaminare - sempre senza alterarlo - l’oggetto delle ispezioni alle quali non è intervenuto: in questo modo, la l. n. 397/2000 disciplina un vero e proprio diritto alla prova scientifica sin dalla fase delle indagini preliminari, anche nell’ambito dell’investigazione difensiva.
Tali atti d’indagine possono essere compiuti anche nella sola eventualità che si instauri un procedimento penale, come stabilito dall’art. 391-nonies in relazione all’attività investigativa preventiva.
Anche se di precipua competenza degli investigatori privati autorizzati, oggetto del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, anche l’avvocato e gli altri ausiliari possono svolgere tale tipologia di indagine, ad eccezione degli atti che richiedono l’intervento dell’Autorità Giudiziaria.
Oltre a tali attività tipiche dell’investigazione difensiva, l’evoluzione tecnologica ha aperto la strada a nuove tecniche e modalità attraverso le quali vengono ricercati elementi in grado di supportare l’attività investigativa, anche in relazione alla futura instaurazione di un procedimento. Una delle attività oramai espletate abitualmente nel corso di un indagine, la cui tipizzazione è avvenuta ad opera della giurisprudenza, è quella del c.d. “pedinamento elettronico”.
Con tale termine viene indicata l’operazione investigativa volta a tracciare gli spostamenti di una persona fisica ovvero di un bene mobile, mediante l’impiego di strumenti tecnologici che rendono più semplice l’attività di pedinamento e la registrazione degli spostamenti. Inoltre, stante l’incessante evoluzione tecnologica alla quale hanno fatto seguito svariati adeguamenti legislativi, assume sempre maggior rilevanza la prova digitale. L’importanza di tale tipologia di prova è evidente dal crescente aumento dei c.d. reati informatici, i quali possono configurarsi come lesivi di dati, programmi o informazioni ( ad es. frodi informatiche e accessi abusivi a sistemi protetti), ovvero come comportamenti illeciti messi in atto sfruttando la rete internet e le tecnologie informatiche (ad es. diffamazione e stalking).
Dal momento che l’analisi dei file, dei programmi e degli strumenti informatici può risultare fondamentale quando le informazioni maggiormente rilevanti sono contenute in essi, anche in relazione a procedimenti penali non attinenti a tale tipologia di reati, assume sempre una maggior importanza l’informatica forense, intesa come la materia che studia ed implementa apposite procedure volte a garantire l’autenticità,la disponibilità e l’integrità di dati ed informazioni di natura digitale , in prospettiva di un loro utilizzo processuale.
Gli elementi raccolti dal difensore e dai sui ausiliari durante l’attività investigativa confluiscono nel fascicolo del difensore, la cui l’utilizzabilità, oltre che nella fase preliminare, si estende anche alla fase dibattimentale. L’art. 391-decies c.p.p. conferma l’intento del legislatore di garantire pari rilevanza alle indagini di accusa e difesa: in particolare, è possibile servirsi delle dichiarazioni contenute nel fascicolo del difensore per le contestazioni durante l’esame testimoniale e per le letture di atti o dichiarazioni irripetibili.
Nel corso delle indagini preliminari, il difensore ha la facoltà - non l’obbligo - di produrre al giudice gli atti concernenti le risultanze delle investigazioni difensive da lui effettuate, qualora il contenuto di tali atti possa indurre il magistrato ad adottare un provvedimento favorevole al proprio assistito. Il difensore ha la facoltà di presentare tali risultanze sia al pubblico ministero che al giudice per le indagini preliminari, anche nel caso in cui quest’ultimo debba adottare una decisione che non prevede la partecipazione della parte assistita (es. disposizione di una misura cautelare).
Nel corso delle indagini, la documentazione prodotta dal difensore e acquisita nel relativo fascicolo, formato e conservato presso la segreteria del g.i.p., risulta accessibile per il pubblico ministero solamente quando debba essere adottata una decisione su richiesta delle parti o che necessita del loro intervento.
Al termine dell’udienza preliminare, l’eventuale decreto che dispone il giudizio determinerà l’inserimento nel fascicolo del dibattimento di tutta la documentazione relativa agli atti delle investigazioni difensive non ripetibili. Gli atti dell’indagine difensiva ripetibili in dibattimento, invece, verranno inseriti nel fascicolo del pubblico ministero e potranno essere adoperati per le contestazioni e per le letture.
In generale, ricalcando quanto affermato anche dalla recente giurisprudenza, gli elementi raccolti dal difensore e dai suoi ausiliari nel corso delle investigazioni difensive sono equiparabili, in quanto ad utilizzabilità e valore probatorio, a quelli raccolti dell’organo di accusa.
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