Nell'ambito delle Indagini difensive, la ricerca e la raccolta di prove utilizzabili in giudizio, rappresenta una fase essenziale per l’efficace esercizio del diritto di difesa nel processo civile
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La ricerca e la raccolta di prove rappresentano una fase essenziale per l’efficace esercizio del diritto di difesa anche nel processo civile, con l’obbligo per le parti di predisporre tutta la documentazione ed i mezzi di prova necessari attraverso lo svolgimento di attività investigative i cui risultati siano producibili in giudizio, nel rispetto della normativa vigente.
Il diritto alla difesa nel processo civile si configura come la facoltà per il difensore di investigare ed approfondire i fatti rilevanti, rintracciando e verificando la credibilità di chi sia eventualmente in grado di confermare le circostanze identificate.
Inoltre, considerando la mancanza di una norma che stabilisca la tassatività dei mezzi di prova nel processo civile, il giudice può porre alla base del proprio convincimento anche le c.d. prove atipiche, categoria nella quale rientrano anche gli atti delle indagini difensive di cui all’art. 327-bis del codice di procedura penale.
Le prove presentate nel corso del processo civile ma formatesi in altro procedimento giudiziario, nel rispetto del contraddittorio delle parti in causa, vengono definite prove atipiche, la cui efficacia probatoria deve essere assimilata a quella delle presunzioni semplici od argomenti di prova, ex art. 2729 del codice civile, le quali sono ammesse nel processo civile mediante la produzione documentale.
Inizialmente, la legittimità di tali prove era messa in dubbio dalla mancanza di una norma che consentisse di acquisire prove diverse rispetto a quelle elencate nel codice, quali la testimonianza, l’interrogatorio formale, il giuramento, la confessione e la prova documentale scritta. Tuttavia, l’orientamento tanto della dottrina quanto della giurisprudenza, in particolare della stessa Cassazione, evidenzia come l’elencazione delle prove ammissibili nel processo civile non sia tassativa: di conseguenza, risultano ammissibili anche le prove atipiche, acquisite nel processo attraverso lo strumento della produzione documentale. L’efficacia probatoria di tali elementi è quella di presunzioni semplici, ovverosia indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio utilizzabili dal giudice per accertare i fatti rilevanti del processo e pervenire ad una decisione.
Il prevalente orientamento giurisprudenziale ha stabilito che il giudice può far discendere il proprio convincimento anche da un'unica presunzione di tale tipologia, seppur contrastante con eventuali altri elementi acquisiti nel corso del procedimento. Tuttavia, il prudente apprezzamento del giudice deve ritenere dimostrato il fatto in questione solo se le presunzioni risultano gravi, precise e concordanti: con tali caratteristiche, esse assumono il medesimo valore probatorio degli altri elementi del processo, potendo anche risultare prevalenti nel convincimento del giudice.
Tra le prove atipiche rientrano gli atti d’indagine svolti dalle parti nell’ambito del procedimento penale e i verbali di prove espletate in altri giudizi civili, penali ed amministrativi, compresi gli accertamenti di natura tecnica-peritale, i quali possono essere liberamente apprezzati dal giudice senza che egli sia vincolato dalla valutazione fatta nella precedente causa.
Oltre a quelli svolti dal p.m., costituiscono prove atipiche legittimamente utilizzabili nel processo civile anche gli atti delle indagini difensive di cui agli artt. 327-bis e 391-nonies del codice di procedura penale.
Se è vero che nell’ordinamento civilistico manca una norma generale - come quella prevista dall’art. 189 c.p.p. in ambito penale - che stabilisca espressamente l’ammissibilità delle prove atipiche, dottrina e giurisprudenza ormai consolidate, stante la genericità del concetto di prova documentale, l’affermazione del diritto alla prova e il correlativo principio del libero convincimento del giudice, escludono che l’elencazione delle prove nel processo civile sia tassativa, aprendo così all’introduzione delle prove atipiche.
L’idoneità del materiale investigativo raccolto dal difensore e dai suoi ausiliari in sede penale ad essere ammesso nel giudizio civile consente un utilizzo strategico anche delle indagini difensive preventive, qualora dalla vicenda civilistica derivi un sospetto di rilevanza anche penale del fatto.
La legge 7 dicembre 2000, n. 397, ha assegnato al difensore la facoltà di svolgere attività investigativa per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, sia esso indagato, persona offesa – anche solo presunta tale - o imputato. L’art. 391-bis c.p.p. riconosce allo stesso difensore il diritto ad assumere informazioni da persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa, richiedere atti alla P.A. ed effettuare l’accesso ai luoghi per accertarne lo stato e/o svolgere rilievi tecnici, anche con l’aiuto di un consulente esperto in materia, dando atto dei risultati nei relativi verbali.
Quanto alla natura di tali atti, le Sezioni Unite della Suprema Corte ne hanno riconosciuto una qualificazione in termini pubblicistici, dal momento che vengono redatti dal difensore, il quale riveste il ruolo di pubblico ufficiale durante lo svolgimento di quella specifica fase processuale e/o stragiudiziale. Di conseguenza, le dichiarazioni assunte dal difensore dell’indagato nell’ambito dell’attività investigativa difensiva hanno lo stesso valore probatorio delle dichiarazioni acquisite dal pubblico ministero, ovvero di atto pubblico.
In ambito civilistico, viene definito atto pubblico “… il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato” (art. 2699 c.c.). L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti in esso attestati, ex art. 2700 del codice civile.
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