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Il consulente tecnico

La figura del consulente tecnico è richiesta qualora si renda necessario l’ausilio di esperti in ogni fase del procedimento penale, ai fini di una concreta realizzazione del diritto di difesa. 

Indice:

  1. Chi è il Consulente tecnico nel procedimento penale?
  2. La perizia e la consulenza tecnica extraperitale
  3. Le attività del consulente tecnico nelle indagini difensive 
  4. Il consulente tecnico di parte nel dibattimento

1. Chi è il Consulente tecnico nel procedimento penale?

La figura del consulente tecnico è stata oggetto di rilevanti modifiche apportate dalla l. n. 397/2000, in particolare attraverso il riconoscimento della necessità dell’ausilio di esperti in ogni fase del procedimento penale, ai fini di una concreta realizzazione del diritto di difesa. 

Tra gli ausiliari in grado di collaborare con il difensore allo svolgimento di investigazioni difensive, il consulente tecnico può intervenire qualora siano necessarie specifiche competenze, come indicato nell’art. 327-bis comma 3 del codice di procedura penale. Dal momento che gli ausiliari agiscono su delega del difensore, il quale è titolare della difesa e responsabile del loro operato, è necessario che l’incarico sia conferito al consulente tecnico dal legale in forma scritta, specificando l’oggetto dell’indagine

Al consulente tecnico incaricato di collaborare con il difensore allo svolgimento dell’attività investigativa vengono riconosciute - al pari degli altri ausiliari – le garanzie di libertà previste dall’art. 103 commi 2 e 5, ovverosia il divieto per l’accusa di procedere al sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa e quello relativo alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. 

Il difensore ha la facoltà di nominare i propri consulenti tecnici liberamente, senza necessariamente ricorrere a soggetti inseriti nell’albo dei periti, dal quale invece è tenuto ad attingere il pubblico ministero, ex art. 73 disp.att. del codice di rito. 

2. La perizia e la consulenza tecnica extraperitale

A differenza di quanto previsto nel codice del 1930, la consulenza tecnica può esplicarsi nell’arco di tutto il procedimento penale attraverso una pluralità di forme e funzioni, anche grazie all’introduzione di quella extraperitale, a compimento delle rinnovate caratteristiche – tendenzialmente accusatorie – del modello processuale attualmente delineato nel codice.

Ai sensi dell’art. 225 c.p.p., una volta disposta la perizia dal giudice, con ordinanza motivata contenente la sommaria enunciazione dei fatti, la nomina del perito e l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui dovrà essere svolta, le parti private ed il pubblico ministero hanno la facoltà di nominare i propri consulenti tecnici in numero non superiore - per ciascuna parte - a quello dei periti. 

I consulenti tecnici potranno partecipare all’intero svolgimento della perizia, fin dal momento dell’enunciazione dei quesiti, non solo formulando osservazioni e riserve, bensì  proponendo al perito specifiche indagini di cui dare atto in sede di relazione

Nell’ipotesi in cui il consulente tecnico sia nominato dopo l’esaurimento delle operazioni peritali, oltre a visionare le relazioni del perito, egli potrà chiedere al giudice di esaminare la persona, la cosa ed il luogo oggetto della perizia, salvo che da ciò non derivi un ritardo nel compimento di altre attività processuali, con la facoltà di predisporre a sua volta una relazione.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 233 c.p.p., anche qualora non sia stata disposta alcuna perizia, le parti hanno la facoltà di nominare - in numero non superiore a due - propri consulenti tecnici, i quali potranno esporre al giudice il loro parere su singole questioni, eventualmente anche attraverso la presentazione di memorie. La norma in esame consente l’attuazione del diritto alla prova, conferendo alle parti la facoltà di avvalersi dell’ausilio di un tecnico e di sottoporre al giudice il suo contributo, anche quando quest’ultimo non abbia ritenuto necessario nominare un perito.

Qualora la perizia non venga disposta in seguito alla sua nomina, il consulente tecnico avrà la facoltà di svolgere di sua iniziativa le indagini e gli accertamenti consentitigli dall'oggettiva disponibilità di persone, cose o luoghi assunti come oggetto della consulenza. Le principali novità sul tema apportate dalla l. n. 397/2000 sono contenute nel comma 1-bis dell’art. 233 c.p.p., in virtù del quale, su richiesta del difensore, il giudice “può autorizzare il consulente tecnico di una parte privata ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano, ad intervenire alle ispezioni e ad esaminare l'oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto”.

3. Le attività del Consulente tecnico nelle indagini difensive

La prima tra le attività investigative che il difensore può dare incarico di svolgere al consulente tecnico consiste  nel conferire con persone che siano in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’indagine (art. 391-bis comma 1 c.p.p.). Per sondare la rilevanza e la veridicità delle conoscenze della persona sentita, anche il consulente tecnico può procedere all’acquisizione di informazioni da fonti dichiarative mediante il colloquio non documentato: tuttavia, non rimanendo traccia dei risultati di tale informale interlocuzione, i relativi contenuti non potranno assumere valore probatorio. 

A differenza di quanto previsto per il colloquio non documentato, al consulente tecnico non è consentito acquisire notizie da persone informate sui fatti mediante dichiarazione scritta e assunzione documentata di informazioni, modalità di acquisizione riservate al difensore e al sostituto, in quanto potenzialmente dotate di valore probatorio. 

Il consulente tecnico, nel rispetto delle finalità poste dal suo incarico, può autonomamente acquisire informazioni da persone informate sui fatti ed eventualmente eseguire test psicologici su coloro che ritiene idonei a fornire indicazioni utili all’espletamento delle indagini: tuttavia, non potrà obbligare in alcun modo i soggetti interessati a rispondere alle sue domande o ad eseguire i suoi test. 

In caso di rifiuto a rispondere o a rendere dichiarazioni, il consulente tecnico potrà rivolgersi al difensore che lo ha incaricato, il quale chiederà al pubblico ministero di disporre l’audizione del soggetto interessato: così facendo, l’atto confluirà irrimediabilmente nel fascicolo del p.m., entrando a far parte del materiale probatorio, indipendentemente dal valore dei risultati rispetto alla strategia difensiva.

Inoltre, il consulente tecnico ha la facoltà di effettuare l’accesso per visionare lo stato dei luoghi e delle cose, procedendo alla loro descrizione ovvero eseguendo rilievi tecnici: i risultati derivanti da tali atti investigativi potranno essere inseriti nel verbale redatto dallo stesso consulente. L’attività regolata dall’art. 391-sexies c.p.p., di carattere meramente ricognitivo, può estendersi anche al compimento di rilievi irripetibili aventi ad oggetto luoghi o cose soggette a modificazioni, da svolgersi tempestivamente al fine di evitare la dispersione degli elementi di prova. 

Le risultanze di tali atti confluiscono nel fascicolo del dibattimento: tuttavia, nel caso in cui si tratti di accertamenti ovvero di altri atti a cui il p.m. abbia assistito, in virtù di quanto previsto dall’art. 431 comma 1 c.p.p., i relativi verbali verranno inseriti sia nel fascicolo del difensore sia in quello del pubblico ministero. La normativa in esame consente che tali atti, data la loro rilevanza, restino a disposizione della parte pubblica, la quale non potrebbe diversamente disporne nella fase conclusiva delle indagini, non avendo libero accesso al contenuto del fascicolo del difensore.  

4. Il consulente tecnico di parte nel dibattimento

Con riferimento ai doveri che gravano sul consulente tecnico nel momento in cui depone in dibattimento, emerge un contrasto giurisprudenziale sull’obbligo di dire la verità ex art 497 comma 2 del codice. Infatti, l’osservanza di tale obbligo per il consulente potrebbe pregiudicare gli interessi della parte, potenzialmente in conflitto con quanto eventualmente esposto dall’esperto

A conferma dell’assenza dell’obbligo di dire la verità per il consulente tecnico di parte, depone la mancata previsione di dare lettura della dichiarazione prevista dall’articolo 226 c.p.p. per il perito: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo nello svolgimento dell’incarico, mi impegno ad adempiere al mio ufficio senza altro scopo che quello di far conoscere la verità e a mantenere il segreto su tutte le operazioni peritali”.

Al contrario, una giurisprudenza minoritaria ha sostenuto in passato che tra le disposizioni sull’esame dei testimoni applicabili al consulente tecnico rientrasse anche quella contenuta nell’art. 497 comma 2. Secondo tale orientamento, la responsabilità morale e giuridica derivante dall’obbligo di dire tutta la verità evidenzia la necessità per l’esperto di ispirarsi ai principi di lealtà e sincerità posti a fondamento della formazione della prova nel processo penale, dal momento che – nella maggior parte dei casi - l’apporto conoscitivo del consulente tecnico non si limita all’esposizione di valutazioni, bensì consiste nell’enunciazione di dati oggettivi. 

Oggetto di contrasto giurisprudenziale è anche il diritto del consulente tecnico di assistere alle udienze in qualità di ausiliario di parte: tale problematica, che rimanda al più generale quesito inerente alla vera natura del consulente tecnico in dibattimento, viene affrontata secondo diversi orientamenti giurisprudenziali. Il primo di questi sostiene l’impossibilità per l’esperto di assistere all’istruttoria dibattimentale prima del proprio esame, in virtù della sua natura assimilabile a quella di testimone

Secondo un diverso orientamento, il divieto in esame di non si estenderebbe anche al consulente tecnico, legittimato a partecipare all’intero iter processuale ex art. 501 c.p.p.: tale disposizione, infatti, prevede l’estensione ai consulenti tecnici delle norme che regolano l’esame testimoniale e non di quelle relative alla fase precedente

A sostegno di tale orientamento propende l’attribuzione al consulente tecnico della funzione di ausiliario di parte, anche in momenti differenti rispetto a quelli legati alla deposizione. In particolare, ciò emerge dall’impossibilità per i testimoni esaminati di comunicare anche con i consulenti tecnici nel corso dell’udienza, oltre che dalla facoltà riconosciuta alle parti di nominare, fuori dai casi di perizia, fino a due consulenti, i quali potranno proporre autonomamente pareri e memorie.

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