Funzionale a raccogliere la documentazione degli atti compiuti durante le indagini, il fascicolo del difensore riveste un ruolo centrale nelle dinamiche processuali, in relazione alla successiva utilizzabilità del materiale in esso contenuto.
Il legislatore, dopo aver tipizzato gli atti investigativi della difesa e le relative modalità di documentazione, preoccupandosi di assicurare la loro spendibilità lungo l’intero arco del procedimento, ha istituito anche l’involucro ove gli stessi devono confluire: il fascicolo del difensore.
In base all’art. 391 octies comma 1, sulla falsariga del vecchio art. 38 disp. att., il difensore nel corso delle indagini preliminari e nell’udienza preliminare, quando il giudice deve adottare una decisione con l’intervento della parte privata, può presentare direttamente a quest’ultimo gli elementi di prova a favore del proprio assistito di cui sia in possesso.
Formato e conservato presso il giudice per le indagini preliminari, ex art. 391-octies c.p.p., il fascicolo del difensore non può essere visionato dal pubblico ministero durante lo svolgimento delle indagini, a meno che non debba essere adottata una decisione su richiesta delle parti o che necessiti del loro intervento
E’ il difensore che decide se e quando portare a conoscenza dell’autorità le risultanze delle indagini svolte: l’utilizzabilità del dato investigativo non dipende, pertanto, dalla sua venuta in esistenza ma dalla scelta di renderlo disponibile.
Il fascicolo del difensore dopo la chiusura delle indagini preliminari viene inserito nel fascicolo di cui all’art. 433 e cioè in quello del pubblico ministero così come prescrive l’art. 391 octies comma 3.
Seppur equiparabili in relazione al valore probatorio degli atti in essi contenuti, i fascicoli del difensore e del p.m. si differenziano rispetto ai criteri di formazione: nel primo vengono inseriti solo gli atti ritenuti funzionali alla strategia difensiva, mentre nel secondo devono necessariamente rientrarvi tutti gli atti d’indagine compiuti.
Qualora voglia utilizzare i risultati investigativi derivanti da un particolare atto, il difensore dovrà presentarlo al giudice e al p.m., determinandone l’uscita dall’esclusiva disponibilità del soggetto privato per entrare a far parte del materiale cognitivo del procedimento penale. L’art. 391-octies prevede che la documentazione inerente all’attività investigativa difensiva, presentata al giudice durante lo svolgimento delle indagini o dell’udienza preliminare, debba essere inserita nel fascicolo del difensore in originale, ovvero in copia qualora egli ne chieda la restituzione.
La discrezionalità riconosciuta al difensore in relazione al materiale da immettere nel procedimento, giustificata dalla diversa finalità tra le indagini difensive di parte e quelle - teoricamente - oggettive dell’organo d’accusa, incontra un limite nell’impossibilità di procedere ad una verbalizzazione infedele, al fine di tacere le circostanze sfavorevoli al proprio assistito.
Inoltre, la medesima ratio impedisce al difensore di verbalizzare o presentare solo parti specifiche di determinati atti, con l’obiettivo di omettere gli elementi sfavorevoli alla propria strategia difensiva.
Sul tema si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, definendo il difensore come pubblico ufficiale durante lo svolgimento dell’attività investigativa ex art. 391-bis c.p.p., qualificando di conseguenza i relativi verbali come atti pubblici. In conclusione, qualora il difensore verbalizzasse in maniera infedele o solo in parte un atto investigativo, risponderebbe dei reati di falso ideologico in atto pubblico e di favoreggiamento.
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