Il difensore, il sostituto e l’investigatore privato possono acquisire informazioni, anche per iscritto, da parte di una persona imputata o informata sui fatti. Quali sono i limiti previsti dalla legge?
Il moderno processo giudiziario consente al difensore di svolgere attività investigativa in prima persona, mediante un sostituto, attraverso un investigatore privato cui è stato conferito il mandato o i consulenti tecnici. Questa facoltà consente al difensore di acquisire tutte quelle informazioni che possono risultare utili a comporre il fascicolo difensivo per sostenere la posizione dell’assistito e contrastare le risultanze delle indagini svolte dalla pubblica accusa.
È l’articolo 391 bis del Codice di procedura penale a stabilire il diritto a sentire la persona informata sui fatti. La norma stabilisce, al primo comma, che le figure del difensore o i suoi collaboratori possono conferire con la persona informata sui fatti mediante tre diverse modalità: il colloquio non documentato, la ricezione di una dichiarazione scritta documentata e l’assunzione di informazioni.
Al colloquio non documentato possono procedere anche il sostituto, gli investigatori privati e i consulenti tecnici in quanto le informazioni acquisite secondo tale modalità non hanno valore probatorio. Che cosa succede invece nel caso della dichiarazione scritta documentata e dell’assunzione di informazioni? Soltanto il difensore o un suo sostituto possono procedere a tali atti che avranno invece valore probatorio in dibattimento. Per questo, il colloquio non documentato ha spesso funzione propedeutica alle altre due modalità.
Il difensore e i suoi ausiliari dovranno necessariamente avvertire le persone informate sui fatti circa lo scopo e le modalità dell’atto investigativo, chiarendo l’eventuale ruolo di persona indagata o imputata nello stesso procedimento o in procedimento connesso o collegato. Spetta inoltre al difensore l’obbligo di informare l’interessato della facoltà di non rispondere e del divieto di rivelare le domande ricevute e le risposte rese alla polizia giudiziaria o al p.m. oltre ad ammonire circa le responsabilità penali derivanti dalle false dichiarazioni.
Il difensore è legittimato dal comma 7 dell’art. 391 bis del codice di rito a sentire e ricevere dichiarazioni anche dalla persona detenuta o sottoposta a diversa misura cautelare. Prima di poter procedere in tal senso il difensore deve obbligatoriamente munirsi di specifica autorizzazione del giudice che procede nei confronti della stessa, sentiti il suo difensore e il pubblico ministero. Prima che l’azione penale abbia effettivamente corso è competente il giudice per le indagini preliminari, in corso di esecuzione della pena è invece il magistrato di sorveglianza a provvedere. In difetto di queste comunicazioni preliminari quanto acquisito sarà inutilizzabile.
L’ordinamento riconosce all’acquisizione di notizie dalle persone informate sui fatti una copertura simile a quella prevista per le stesse attività condotte dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero.
Tuttavia, il p.m. ricopre un ruolo cui l’ordinamento riconosce una preminenza in quanto portatore di un interesse pubblico. La pubblica accusa ha infatti la facoltà di vietare – con decreto motivato e per non più di due mesi – alle persone già ascoltate di comunicare fatti e circostanze che costituiscono oggetto dell’indagine.
L’acquisizione di notizie dalle persone informate sui fatti è coperta da garanzie simili a quelle previste per la medesima attività ad opera della polizia giudiziaria e del pubblico ministero: in particolare, qualora l’interessato renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi a suo carico, l’atto deve essere interrotto e quanto dichiarato non è utilizzabile contro la persona che ha reso le informazioni. Per contro, il p.m. ha altresì la facoltà di aiutare il difensore in caso di rifiuto a rendere dichiarazioni e notizie da parte.
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