Che ruolo gioca la cosiddetta digital forensics nelle indagini preventive? Quali sono i limiti di un’attività sempre più richiesta?
L’evoluzione del nostro ordinamento giudiziario e il progresso tecnologico hanno introdotto, a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso, una serie di novità.
La riforma del codice di procedura penale che ha determinato il passaggio da un sistema di tipo inquisitorio a un sistema di tipo accusatorio ha trasformato la figura dell’avvocato difensore, non più considerato una figura dedita alla mera contestazione delle prove acquisite dal pubblico ministero e dal giudice istruttore ma un soggetto titolato a raccogliere dati, documenti, informazioni e ogni altra evidenza che possa essere d’aiuto per costruire una strategia difensiva in tribunale.
Le indagini difensive non devono però necessariamente essere legate a un procedimento penale ma possono essere avviate preventivamente, nell’eventualità che un procedimento si instauri o per evitarlo.
A norma dell’articolo 391 nonies della legge 397/2000 “l’attività investigativa prevista dall’articolo 327 bis, con esclusione degli atti che richiedono l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria, può essere svolta anche dal difensore che ha ricevuto apposito mandato per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”.
Un soggetto che riscontri un bisogno privato di raccogliere informazioni, attivando una vera e propria attività di indagine potrà rivolgersi ad un avvocato per tutelare i propri diritti. Una richiesta che non potrebbe essere fatta alle autorità dello Stato.
Il progresso tecnologico e la massiccia diffusione della rete Internet, unita nell’ultimo decennio all’introduzione degli smartphone e di sempre più sofisticati dispositivi mobili, ha portato praticamente tutti gli individui a navigare e a utilizzare servizi, lasciando al tempo stesso una “traccia” del proprio passaggio nel world wide web.
Queste tracce possono costituire utili elementi di prova nel caso di indagini difensive preventive. Un avvocato difensore o un investigatore privato non possono però agire come degli hacker, né hanno le stesse libertà di manovra delle Autorità Giudiziarie e di polizia. Quali sono dunque i limiti che incontrano nelle indagini informatiche?
Le digital evidence sono per natura immateriali, ovvero pur necessitando di un supporto fisico sulle quali essere impresse o conservate, sono soggette a volatilità e modificabilità. La legge stabilisce da un lato che le prove digitali sono equiparate, nell’ambito di un procedimento penale, a quelle documentali ma prevede altresì l’inutilizzabilità delle prove qualora non vengano rispettate le procedure previste normativamente (art. 191 c.p.p.).
Chi proceda all’acquisizione di prove informatiche deve pertanto garantirne la conservazione e impedire che possano venire alterati.
Il legislatore italiano non ha provveduto a costruire una disciplina compiuta di tali attività, bensì si è limitato a recepire la Convenzione del Consiglio d’Europa sui reati informatici o Convenzione di Budapest che ha introdotto modifiche al Titolo III del Codice di procedura penale, con particolare riferimento alle prove.
Un’analisi informatica si configura solitamente in cinque fasi: individuazione, preservazione, acquisizione, analisi e correlazione dei dati.
La prima fase, quella di individuazione, si suddivide in due sottofasi: la prima di sopralluogo e inventario delle prove rinvenute, la seconda tesa invece a impedire che quanto rinvenuto possa subire interferenze dall’ambiente circostante.
Segue la fase di acquisizione, nella quale il consulente tecnico deve impegnarsi a non pregiudicare l’inalterabilità dell’elemento analizzato. Non si potrà quindi procedere a una semplice copia del dato perché questo significherebbe una perdita di tutti quegli elementi che risultano essenziali.
Occorre pertanto che venga realizzata una bit stream image, ovvero una copia bit a bit del dispositivo. Affinché una digital evidence abbia dignità di prova deve rispondere ai requisiti di integrità, completezza, autenticità e veridicità.
Una volta terminate le operazioni di acquisizione e analisi delle prove informatiche, l’investigatore o il consulente che per esso opera dovrà stendere una relazione che fornisca, nel dettaglio, tutte le prove raccolte e una documentazione video-fotografica che ripercorra tutte le fasi di lavoro, al fine di garantire che il processo di acquisizione sia avvenuto correttamente e secondo i parametri di legge.
Tutto quanto abbiamo finora visto garantisce un’assoluta efficacia delle indagini informatiche in chiave preventiva. Il fatto che sempre più persone utilizzino dispositivi mobili collegati a internet e che buona parte delle comunicazioni si svolga ormai in forma virtuale e telematica assicura, agli investigatori, la possibilità di individuare ogni tipo di digital evidence.
Le indagini preventive possono dunque essere condotte analizzando tutte quelle tracce che quotidianamente lasciamo sulla rete.
L’utilizzo di sistemi di OSINT – Open Source Intelligence ha infatti ad oggetto quelle informazioni che si possono acquisire semplicemente tramite fonti libere e accessibili a tutti. Le informazioni pubbliche presenti nella rete costituiscono infatti una serie di elementi preziosi per gli investigatori privati, anche in chiave preventiva.
Tutto ciò che è reperibile attraverso una semplice ricerca su siti, blog, forum di discussione, le condivisioni e i profili sui social network, la condivisione video, i record Whois dei nomi di dominio, i metadati e i file digitali, gli indirizzi IP possono infatti fornire, senza alcun bisogno di accessi forzosi, preziose informazioni per chi si trova a dover acquisire dati utili a costruire un’indagine difensiva preventiva.
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